Laboratorio progettuale di disegno assistito dal calcolatore

- Progettazione telaio per bicicletta in materiale plastico -

L'evoluzione della bicicletta inizia intorno al 1790 e dura circa un secolo (intorno al 1890 arriviamo a modelli concettualmente simili a quelli attuali), tuttavia è doveroso segnalare la geniale intuizione che molto tempo prima ebbe Leonardo da Vinci (1452-1519): su un foglio del suo Codice Atlantico infatti è stato trovato infatti uno schizzo di velocipede con trasmissione a catena e demoltiplica (che verrà introdotta solo intorno al 1885). I primi mezzi effettivamente prodotti e di cui si ha notizia risalgono ad un certo De Sivrac, un aristocratico di Parigi che nel 1791 realizzò un mezzo battezzato "celerifero", in verità rozzo e rudimentaleCelerifero: due ruote di legno unite da una trave (era poco più che l'adattamento ad un adulto del cavalluccio di legno per bimbi). Generalmente si considera come legittimo capostipite della bicicletta il modello che il barone tedesco Karl von Drais fece brevettare nel 1817, che in suo onore venne battezzato "Draisina". L’ importante innovazione introdotta era la ruota anteriore sterzante, che consentiva di mantenere l'equilibrio senza poggiare i piedi a terra e ovviamente di poter cambiare direzione. Il passo successivo fu l'aggiunta dei pedali, calettati direttamente sul mozzo della ruota anteriore: non era più necessario mettere i piedi a terra per imprimere il movimento. La paternità di quest’invenzione non è sicura (forse fu un tedesco, Philipp Fischer nel 1853), ma il lancio commerciale e la relativa diffusione è certamente attribuibile ai francesi Pierre ed Ernest Michaux, padre e figlio. Essi realizzarono e misero in vendita i primi modelli a pedale nel 1861, con notevole successo. Il loro prodotto aveva però un notevole difetto: il rapporto di trasmissione era fisso, di 1 a 1 tra i giri della ruota e i giri dei pedali. Lo sviluppo della pedalata, cioè lo spazio percorso in un giro completo della pedivella (che per definizione è il doppio del passo pedalico), con questo rapporto di trasmissione, dipende solo dal diametro della ruota. L'unico modo per aumentare la velocità di spostamento era quindi di aumentare il diametro della ruota su cui è montata la pedivella, e così i modelli successivi videro la crescita continua della ruota anteriore, fino a sfidare i limiti posti dalle dimensioni anatomiche dei ciclisti. Nel 1871 venne presentato il modello "Ariel", realizzato da William Hillman e James Starley, con la ruota anteriore di circa 1,5 metri di diametro. Il modello più conosciuto di questo tipo di biciclette è la "Ordinary" Ordinary(vedi figura), che negli anni settanta del secolo scorso ebbe una forte diffusione con migliaia di esemplari in tutto il mondo (cinquantamila nella sola Inghilterra). Questo modello presentava però ancora molti inconvenienti,  tra i quali prima la frenatura: ora che la velocità era aumentata, il freno sulla ruota posteriore a pattino delle vecchie bici era inefficace, per la dimensione minima di tale ruota (ormai serviva solo per l'equilibrio) e per lo scarso peso aderente, tutto spostato in avanti. La grossa ruota inoltre poneva problemi di rigidezza e solidità, con il costante pericolo del ribaltamento in avanti: bisognava cercare un'altra soluzione.Fu l'inglese Henry Lawson, nel 1879, a lanciare per primo sul mercato (c'era stato qualche prototipo in precedenza) un modello che risolveva il problema della velocità e della sicurezza in un colpo solo: trazione posteriore tramite catena e corona dentata di demoltiplica. Così il diametro della ruota davanti era "solo" di un metro, inoltre il manubrio e la sella erano leggermente arretrati (più comodi) con un’ avancorsa che consentiva maggior stabilità. Per tutte queste garanzie di sicurezza che il mezzo offriva venne battezzato "Safety bike". Commercialmente fu un insuccesso, ma le soluzioni adottate erano quelle giuste. Nel 1884 John Starley (nipote del citato James) e William Sutton realizzarono il "Rover" che, con le successive versioni, era ormai molto simile alle bici moderne: ruote quasi uguali e di diametro paragonabile alle attuali, telaio in tubi d'acciaio a trapezio (da cui nascerà, con l'aggiunta del tubo piantone, il telaio a diamante che è oggi il più usato), sterzo diretto, trazione posteriore con catena e demoltiplica, freno a tampone abbastanza potente sulla ruota anteriore. Il record di velocità su strada nella gara tra Brighton e Londra nel 1885, stabilito da una Rover, era di 23 chilometri all'ora. L'ultimo grosso problema da risolvere era il contatto tra ruote e terreno. Le ruote rigide usate fino ad allora, anche se ricoperte con anelli di gomma piena erano molto scomode e trasmettevano le vibrazioni provocate dal terreno praticamente senza attutirle, ed inoltre il coefficiente di attrito e la relativa resistenza al moto erano elevate. Fu uno scozzese, John Dunlop, a brevettare nel 1888 i primi pneumatici in tela gommata riempiti d'aria (ancora una volta ci furono dei precursori: Robert Thomson, ingegnere civile scozzese brevettò nel 1845 dei pneumatici che sfruttavano un nuovo materiale, la gomma vulcanizzata, scoperta dall'inglese Charles Goodyear sei anni prima; l'idea fu accantonata, anche perché Thomson pensava alle carrozze a cavallo e non alle bici). I mezzi così equipaggiati erano più veloci e comodi di quelli tradizionali, ma presentavano alcuni difetti: si foravano facilmente e non si riusciva a staccarli dai cerchioni. La soluzione venne da Edourd e Andrè Michelin (anche se alcuni inglesi fecero progetti analoghi). I fratelli francesi nel 1891 depositarono la loro invenzione: un tubo di caucciù munito di valvola, inserito in un altro più spesso e resistente, facilmente smontabile dal cerchione. Nel 1896 ci furono altre importanti migliorie: la ruota libera che consentiva di riposare stando fermi sui pedali e i rapporti multipli, per correre in pianura e arrampicarsi in montagna nelle migliori condizioni. Forte di tutte queste innovazioni la diffusione della bicicletta fu enorme (nel 1897, soltanto negli Stati Uniti, vennero prodotti due milioni di esemplari). Negli anni a cavallo del secolo l'industria della bicicletta fece da base a quella dei veicoli a motore che ne sfruttò molte idee ma soprattutto gli uomini, sia progettisti e inventori che imprenditori. Non a caso le prime fabbriche di veicoli a motore molto spesso in precedenza costruivano biciclette. Nel nostro secolo i miglioramenti hanno riguardato soprattutto i materiali, sempre più leggeri e resistenti. Di rilievo ci sono state due nuove tipologie di modelli: la prima negli anni cinquanta con la bici pieghevole e di dimensioni ridotte (la versione italiana, la "Graziella" della Carnielli vendette un milione di esemplari). La seconda novità, grazie anche ai migliori materiali, è tuttora in fase di espansione. Si tratta del modello noto come "rampichino" o anche "mountain bike" sviluppatosi negli Stati Uniti negli anni Ottanta e che sta avendo un grosso successo anche in tutto il mondo. La produzione di rampichini in Italia rappresenta al momento il 43 % del mercato totale (la produzione italiana complessiva nel 1994 era di 2.400.000 cicli, nel 1990 si arrivò a 3.500.000 unità, con una buona esportazione). Pensato per l'uso in "condizioni estreme", su pendenze elevate, strade non asfaltate o sentieri, il rampichino è apprezzato da molti anche in città: comodo e maneggevole, dotato di ruote larghe, non veloci, ma che consentono di affrontare con maggior sicurezza ostacoli come i binari del tram e di ridurre lo spazio di frenata (in genere sono dotati di robusti freni a cantilever). Alcuni accorgimenti studiati per il rampichino sono poi stati utilizzati sulle bici tradizionali (come la leva del cambio al manubrio).

Valid XHTML 1.0 Transitional